In questo periodo – durante la “grande quarantena” del 2020 – ho riflettuto molto riguardo ad argomenti quali il consenso e la negoziazione e nelle mie ricerche mi sono imbattuto nella “Ruota del consenso”, la “Wheel of consent” di Betty Martin, una chiropratica e coach statunitense.

Sulla sua pagina internet (www.bettymartin.org) ci sono un sacco di video che vi invito a guardare.

La ruota del consenso è uno schema che illustra alcuni atteggiamenti e dinamiche che possiamo trovare nelle relazioni interpersonali, soprattutto quelle più significative e intime. Non è la “guida completa” ai rapporti umani, ma un’analisi che ci fa riflettere su alcune modalità di comportamento e di relazione con gli altri.

Questo articolo è una serie di appunti che ho preso e che ho il piacere di condividere. Non pensiate che io abbia raggiunto chissà quale consapevolezza o che voglia insegnare qualcosa. Sono io il primo a rendermi conto degli errori che ho fatto e che faccio, che inevitabilmente faccio; questo schema, la “ruota del consenso”, mi ha fatto riflettere su alcuni modi di fare non funzionali che io stesso metto in atto o in cui mi sono ritrovato e su alcune dinamiche di comunicazione che vorrei rendere più chiare.

Questa non è una guida alla “Wheel of consent”, ma una mia esposizione in cui ho rielaborato, adattato e persino integrato alcuni concetti in base alle mie esperienze. Non sono infatti d’accordo con tutto quello che Betty Martin afferma, ma nonostante alcuni dubbi, non posso negare che tutto l’approccio mi abbia colpito profondamente. Non nascondo quindi di aver messo molto di me in questo articolo perché scriverlo ha costituito una profonda esperienza di auto analisi. La ruota del consenso nella sua versione originale è a mio avviso troppo radicale quindi, per non buttare il bambino con l’acqua sporca, ho deciso di smussare alcuni aspetti troppo prescrittivi.

Se avete già riflettuto su argomenti come il consenso o la negoziazione forse alcuni punti di questo approccio potranno apparirvi riduttivi; se invece vi state avvicinando per la prima volta a questi argomenti, la lettura potrebbe risultarvi complessa. La ruota del consenso non deve essere normativa, ma descrittiva e dunque il suo scopo è di fornire degli spunti di riflessione, non delle soluzioni.

Spero che questo articolo sia utile per chi lo leggerà così come lo sono stati per me i video di Betty Martin.

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CINQUE IMPORTANTI PREMESSE

  1. Non sarò breve!

Lo so, questo articolo è venuto parecchio lungo, ma non è stato semplice riassumere così tanti concetti. La ruota del consenso nella sua schematicità per un verso è molto semplice ma per un altro necessita di un po’ di tempo per capire bene quale sia il suo reale valore e messaggio. Io stesso mi sono fermato spesso a rileggere i miei appunti o a riflettere su quello che Betty Martin mi aveva spiegato in una breve conversazione che abbiamo avuto. Vi consiglio quindi di dare una prima lettura per avere una visione d’insieme e poi di tornare sui passi che vi sono apparsi meno chiari.

  1. È tutto più fluido di quello che sembra.

Il valore della ruota del consenso è quello di fornire degli spunti di riflessione, non un metodo onnicomprensivo a cui ricondurre qualsiasi esperienza personale. Come ogni schema esso opera una semplificazione delle dinamiche presentate. Lo scopo è di essere più consapevoli, soprattutto degli aspetti meno funzionali nelle relazioni.

  1. Non è il metodo perfetto.

Ogni guida ai temi del consenso e della comunicazione ha i suoi pro e i suoi contro. La soluzione a mio avviso migliore è quella di informarsi e di crearsi poco alla volta un proprio modus operandi che sia il più possibile efficace e adatto al nostro carattere.

  1. Non andrà tutto bene, ma speriamo che vada meglio.

La ruota del consenso non è la medicina di tutti i mali. Questo schema ci pone sicuramente davanti ai rischi della mancanza di chiarezza, all’importanza di essere consapevoli di quello che vogliamo, al non dare nulla per scontato, ma non ci potrà mai mettere al sicuro dal non avere esperienze spiacevoli, per quanto bene potremo comunicare e negoziare.

  1. Sesso, genere e orientamento sessuale contano? C’è una parte attiva e una passiva?

Ogni aspetto di questo articolo non ha nulla a che vedere con sesso, genere, orientamento sessuale, gusti, ruoli, pratiche, ecc. In questo schema inoltre non useremo le parole “attivo” o “passivo” che potrebbero suggerire che ci sia qualcuno che sceglie che cosa fare e qualcun altro che subisce le scelte altrui.

 

LA RUOTA DEL CONSENSO

Iniziamo! Questo è il consenso, il cerchio entro cui deve svolgersi ogni attività, che altrimenti diventa un abuso.

All’interno di questa “ruota” andremo adesso a definire alcuni tipi di comportamenti e di interazioni tra due (o più) persone.

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“CHI FA” E “A CHI VIENE FATTO”

Iniziamo dividendo il cerchio in due parti e distinguiamo “chi fa” e “a chi viene fatto”.

Questa divisione indica la direzione dell’azione dalla persona che la fa verso quella a cui viene fatta.

È una distinzione abbastanza semplice: in un massaggio c’è una persona che muove le mani e una che sta distesa su un lettino a ricevere il trattamento, in una sessione di spanking c’è chi alza la mano e chi riceve i colpi.

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LA METÀ DEL “CHI FA”

Iniziamo dalla metà del “chi fa”, ovvero chi compie l’azione.

Nella ruota del consenso l’azione è intesa soprattutto come l’atto di toccare una persona, ma le considerazioni che faremo possono essere facilmente estese a diversi tipi di interazione.

Ovviamente due persone possono “fare” anche contemporaneamente tra di loro oppure scambiarsi a turno i ruoli o ancora può essere impossibile definire la persona “che fa” da quella “a cui viene fatto”, per esempio tra due persone che si baciano. Prendiamo questa schematizzazione nel suo valore simbolico ed esemplificativo.

Ci possono essere diversi motivi per fare una certa azione.

A volte la motivazione che ci spinge a fare qualcosa consiste nell’avere poi qualcosa in cambio. Mettiamo dunque in atto una strategia che si dimostrerà soddisfacente solo se riusciremo a realizzare quello che vogliamo. Fare qualcosa per soldi, pagare una cena per sperare di fare colpo su una persona ci attrae, fare un favore per ricevere attenzione: sono tutti esempi di strategie.

Un altro tipo di motivazione consiste invece nel fare qualcosa perché è quello che vogliamo fare a prescindere dall’avere poi un guadagno, perché è qualcosa che ci sentiamo dentro. In questo caso l’azione è soddisfacente di per sé per il solo fatto che ci va di farla. Alcuni esempi possono essere una dimostrazione spontanea di affetto, fare un favore disinteressato, prendere del tempo per noi stessi.

La società ci spinge spesso a essere dei buoni strateghi e a reprimere la nostra spontaneità, rendendoci cauti e sospettosi verso il prossimo. In realtà entrambe le motivazioni che abbiamo visto poco sopra vanno bene a seconda dei contesti; l’importante è esserne consapevoli e non scambiare un atto di generosità con una richiesta malcelata.

Nella ruota del consenso intenderemo il “fare” solo come un’azione sincera e gratuita e verso la quale siamo pienamente disponibili. Vedremo in seguito i rischi del non essere chiari sulle nostre intenzioni.

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LA METÀ DELL’“A CHI VIENE FATTO”

Nella metà opposta troviamo chi riceve l’azione.

Come abbiamo detto, nella ruota del consenso l’azione è intesa principalmente come un atto fisico, quindi la persona “a cui viene fatto” qualcosa è quella che viene toccata; tuttavia, come abbiamo già detto, possiamo applicare le considerazioni che faremo a vari tipo di interazione.

Come “chi fa” può fare qualcosa per esprimere un proprio bisogno oppure per vantaggio o dovere, così anche quando siamo nella posizione di chi riceve un’azione a volte capita di essere costretti a sopportare o accettare cose che non ci piacciono per necessità o per altri motivi in una sorta di strategia o di dovere dell’accettazione.

Dato che nella ruota del consenso parliamo della nostra vita affettiva, relazionale e sessuale, per restare all’interno del consenso dobbiamo sempre avere la responsabilità di decidere di quello che ci accade.

Se avvertiamo un senso di obbligo o di resistenza all’idea che ci venga fatto qualcosa è perché probabilmente ci rendiamo conto di non aver deciso noi quello che sta accadendo o perché ci sforziamo di farci piacere qualcosa che non ci piace veramente.

Anche riguardo a questa metà considereremo dunque solo le azioni che decidiamo consapevolmente che ci vengano fatte.

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“CHI DÀ” E “CHI RICEVE”

Dividiamo ora la ruota del consenso in altre due metà e mettiamo da una parte “chi dà” e dall’altra “chi riceve”.

Se nelle prime due metà che abbiamo visto si definiva la direzione dell’azione “su” qualcuno, in questo caso si specifica “per” chi viene fatto qualcosa. “Chi riceve” trae un beneficio dall’azione, riceve cioè un “dono” da parte di “chi dà”; questo dono può essere costituito da tempo, attenzione o dalla possibilità di fare qualcosa.

Spesso siamo portati a pensare che “chi fa” l’azione è anche “chi dona” qualcosa e che la persona “a cui viene fatta” tale azione sia anche il destinatario del dono. Nella ruota del consenso queste due dinamiche sono separate e anzi vedremo che è molto importante avere chiaro “per chi” una certa azione viene fatta.

Prendiamo l’esempio di un massaggio: è ben diverso se una persona massaggia il partner perché quest’ultimo ha male alla schiena e ha bisogno di sciogliere alcune contratture oppure se la stessa persona fa un massaggio perché è attratta dal partner e vuole esplorarne il corpo che trova eccitante. “Chi fa” e “a chi viene fatto” non cambiano ma cambia chi trae beneficio dall’azione.

Ovviamente il piacere di un’azione può essere anche reciproco e a volte può essere difficile capire chi sia la persona che “riceve”. Non si tratta di decidere a tavolino e di esplicitare sempre chi fa che cosa e per chi. Nell’interagire con un’altra persona è fondamentale mantenere un atteggiamento intuitivo accanto a uno più razionale ed esplicito. L’importante è sempre essere consapevoli di ascoltare quello che sentiamo di voler dare e ricevere e di non fare qualcosa che non siamo disposti a fare.

Anche in questo caso l’apporto della ruota del consenso sta nella sua schematicità non rigida ma dinamica che si realizza nella sua funzione esemplificativa e simbolica.

Prima di continuare vorrei anche introdurre la differenza tra “volere” ed “essere disposti a”.

“Volere” indica qualcosa che desideriamo fare o ricevere per motivi che noi stessi decidiamo e che ci dà appagamento. “Essere disposti a” si riferisce invece a qualcosa che un’altra persona vuole e che gli porta piacere, ma che noi facciamo o riceviamo comunque volentieri.

Ci sono vari gradi di “volere” e di “essere disposti a” e nella vita abbiamo bisogno di entrambi gli atteggiamenti, ovvero di volere del piacere per noi e di farlo a qualcun altro. La chiave del consenso è che ci sia un accordo tra quello che vogliamo e quello a cui il nostro partner è disponibile e viceversa.

Per non andare incontro a esperienze spiacevoli, dobbiamo operare una riflessione per capire quello che “vogliamo” – che può essere diverso da ciò che più genericamente “ci piace” – e quello che “siamo disposti a” fare o ricevere; dobbiamo cioè essere il più possibile consapevoli dei nostri desideri e dei nostri limiti.

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LA METÀ DI “CHI DÀ”

Nella ruota del consenso il “dare” indica un’azione improntata alla cessione di un dono, un dono disinteressato, fatto col cuore. Questo significa che dobbiamo mettere da parte quello che vogliamo noi e dedicarci a quello che desidera chi riceve, contribuendo al suo benessere.

Quando siamo in questa metà abbiamo comunque la responsabilità di porre dei limiti e dunque di non fare quello che non siamo disposti a fare. Questo è un aspetto chiave del consenso: la gestione e la comunicazione dei limiti è nostra, anche quando purtroppo siamo in una situazione in cui non possiamo o non riusciamo a farli valere. Dobbiamo cercare di mantenere sempre quanto meno la consapevolezza di come e quanto possiamo gestire il nostro consenso.

Riuscire a dare in modo disinteressato non è però sempre così semplice, anche se siamo mossi da intenzioni che ci paiono sincere.

A volte capita che diamo al partner quello che vogliamo noi, non quello che l’altra persona ci ha detto che avrebbe voluto ricevere. Stiamo cioè cercando l’attenzione dell’altro invece di dargli la nostra; vorremmo ricevere invece di dare.

Scambiare un’esigenza personale con una richiesta altrui è un comportamento molto diffuso. Vediamone alcuni esempi: fare un regalo non richiesto e aspettarci comunque che l’altro si senta in dovere di apprezzare o di esserci riconoscenti, condividere qualcosa con qualcuno aspettandoci il suo interesse, domandare all’altro se gli va di fare qualcosa quando invece siamo noi a volerlo fare.

Spesso è proprio quando trasferiamo le nostre aspettative sull’altro che nascono problemi e delusioni.

Più sviluppata è la nostra capacità di comunicare i nostri desideri e di ascoltare quelli altrui e più generosamente e sinceramente potremo dare e ricevere.

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LA METÀ DI “CHI RICEVE”

Se siamo nella metà di “chi riceve”, l’azione ha come fine quello che vogliamo noi, un desiderio che abbiamo espresso o che ci è stato chiesto. Siamo i destinatari del “dono” di “chi dà”, un dono che può essere costituito da tempo, attenzione e la possibilità di realizzare un’azione che ci porta un qualche benessere.

Anche per ricevere dobbiamo riuscire ad ascoltare noi stessi e il nostro corpo, capire che di che cosa abbiamo bisogno e comunicarlo al partner. Non si tratta di qualcosa che semplicemente “ci piace”, ma di capire che cosa potrebbe portarci un piacere o un benessere che ci soddisfi intimamente.

Ad esempio potremmo sapere che in generale ci dà piacere toccare il seno del nostro partner, ma non è detto che sia quello che vorremmo sperimentare in un certo momento. Magari se ci fermiamo ad ascoltare noi stessi potremmo scoprire interessi diversi; per esempio potremmo volere esplorare i capezzoli con la bocca oppure potremmo sentire il bisogno di appoggiare la testa sul petto del partner mentre quest’ultimo ci accarezza i capelli. In questo caso solo quest’ultime esperienze potrebbero riempire pienamente un nostro bisogno.

Dare e ricevere sono due quadranti complementari e dobbiamo essere capaci di vivere entrambe le esperienze.

Ci però sono persone che trascorrono la loro vita solo in una delle due metà.

La società ci spinge a pensare che “dare” sia meglio di “ricevere”; è un concetto ben radicato che ritroviamo negli ideali dell’“amor cortese” o nell’etica del sacrificio. Alcune persone, ritenendo “eticamente” superiore il “dare”, passano la loro vita in questa metà; la loro non è però una scelta consapevole e spesso finiscono per sviluppare del risentimento verso gli altri. Una classica conseguenza può essere pensare che “faccio tanto per gli altri ma poi gli altri non fanno nulla per me”.

Quando invece subiamo gli effetti del senso di colpa relativo al “prendere” qualcosa per sé, allora può insorgere la sensazione di sentirci indegni di ricevere qualcosa e possiamo decidere di dare per poi avere qualcosa indietro, per esempio apprezzamento o considerazione.

Ricevere infine non è semplice perché ci rende intrinsecamente vulnerabili.

Per ricevere dobbiamo aprirci e quindi esporci non solo al piacere del dono ma anche al rischio di essere feriti, di non ricevere quello che vogliamo o di essere giudicati per i nostri gusti. Il rischio è chiuderci in noi stessi e finire col prendere qua e là quello che capita sotto mano senza trarne un benessere profondo. La paura di perdere delle occasioni può spingerci a ricercare un’interazione con ansia, aggressività o rabbia che genererà poi senso di colpa e delusione.

Per tutti questi motivi è importante imparare a ricevere per poter dare. Solo se sappiamo esprimere quello che vogliamo sapremo ascoltare quello che vuole il partner, solo se siamo capaci di definire i nostri limiti potremo capire quelli altrui. È una sorta di allenamento in palestra da soli prima di affrontare un incontro.  Avete presente quando c’è una depressurizzazione in un aereo? Nelle informazioni sulla sicurezza c’è scritto che il genitore deve mettere la mascherina prima a se stesso e poi al bambino, altrimenti se perde i sensi poi neanche il bambino si salverà. Solo se sappiamo occuparci di noi potremo occuparci di chi ci sta vicino.

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UN APPROFONDIMENTO SULLA “TECNICA”

Viviamo in una società basata sulla performance, sui numeri, in cui “ogni lasciata è persa” e “più è meglio”. Spesso ci imbattiamo in pubblicità di video o di libri che promettono prestazioni straordinarie se padroneggeremo una certa tecnica; è un’epoca in cui vanno di moda i corsi sulla produttività, sulla leadership, sulla seduzione, su come essere amanti perfetti. Anche la pornografia è un esempio di performance in cui il piacere è mediato, organizzato.

La tecnica è importante perché ci consente di migliorare le nostre capacità e a volte è necessaria per evitare errori o incidenti, ma può arricchire davvero il bagaglio delle nostre esperienze solo se già abbiamo sufficienti competenze relazionali.

È inutile imparare come comunicare attraverso le corde in un corso di bondage se non sappiamo minimamente esprimere i nostri desideri, le nostre fantasie e i nostri bisogni e ascoltare quelli del partner. Come possiamo realizzare correttamente una particolare tecnica di massaggio sensuale se non sappiamo sentire attraverso le nostre mani?

Un corso su una certa pratica o i consigli letti su un libro possono essere una piacevole esperienza per la coppia ma possono anche portare in superficie alcuni aspetti problematici. Tra l’altro molte pratiche relative alla sessualità richiedono fiducia e capacità di comunicazione, due elementi che sono spesso in crisi quando una coppia ha dei problemi.

Quando una certa tecnica ci distrae dal focalizzarci su noi stessi e sul partner, rischiamo di mettere in atto una serie di comportamenti che genereranno poi frustrazione o sensi di colpa. Un’esperienza è soddisfacente solo se corrisponde a quello che i partner desiderano.

Se non agiamo per attuare un reale e sincero desidero nostro o del partner, “chi fa” finisce per affannarsi nella ricerca di un risultato o della perfetta esecuzione di una pratica, procede a tentoni e si dimentica completamente che dall’altra parte c’è un’altra persona con determinati limiti ed esigenze.

La persona “su cui è fatta” l’azione si sente invece per un verso iperstimolata e per altro non è detto che riesca a provare piacere perché quella certa tecnica potrebbe non essere quello di cui ha bisogno. Allora chi riceve, se non sente di trarre nessun beneficio, può arrivare a pensare che, dato che la tecnica dovrebbe di per sé funzionare, vuol dire che c’è qualcosa che non va in lui e potrebbe iniziare a dare dei falsi feedback positivi pur di rassicurare il partner.

Questo atteggiamento di “essere in una missione” genera inevitabilmente ansia da prestazione. Se ci fissiamo sul risultato invece che su quello che proviamo, non ci godremo l’esperienza. Se siamo determinati a raggiungere un certo obiettivo e non siamo disposti a spostarci dal percorso che ci permetterà di raggiungerlo, rischiamo di focalizzarci sulla tecnica senza accorgerci di quello che succede intorno.

Solo se usciamo da questo modo di fare, le nostre mani potranno essere intuitive, sensuali, attente e realmente efficaci, sia per noi che per il nostro partner.

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QUATTRO QUADRANTI E DUE DINAMICHE

Se incrociamo quattro metà che abbiamo descritto nei paragrafi precedenti determiniamo la creazione di quattro quadranti collegati tra loro due dinamiche che andremo ora a scoprire.

Se siamo nel quadrante di chi fa l’azione e dà un dono abbiamo l’atto del “dare”.

Dal lato opposto troviamo la persona a cui viene fatto qualcosa e che riceve il beneficio dell’azione, cioè chi è nella situazione di “ricevere”.

La dinamica tra questi due quadranti è tale per cui sia l’azione che il dono vanno da “chi dà” a “chi riceve”. Un classico esempio è un massaggio in cui chi lo realizza lo fa solo per il benessere dell’altro.

Se facciamo un’azione ma siamo anche la persona per cui questa azione viene fatta la persona che trae giovamento o piacere allora abbiamo l’atto del “prendere”.

Dalla parte opposta abbiamo infine la persona a cui viene fatto qualcosa ma che dà qualcosa, che dona qualcosa; si tratta di “permettere” a una persona di fare qualcosa.

Nella dinamica che lega questi due quadranti l’azione va da “chi prende” a “chi permette”, ma il dono è nel verso opposto – ovvero proviene dalla persona su cui l’azione viene fatta – ed è il dono sostanzialmente di se stessi, del poter accedere al corpo della persona che permette l’azione. Un esempio di questa dinamica è detto “il tocco dell’amante” ovvero quando esploriamo il corpo dell’altro per trarne piacere.

Ricordiamoci che, nella sua forma più essenziale, nella ruota del consenso il dare, prendere, permettere e ricevere piacere sono intesi come una esplorazione sensoriale del partner. Da questa forma di piacere “tattile” si può poi procedere oltre verso forme di scoperta di sé e dell’altro sempre più complesse e strutturate.

Non a caso, se ci sono delle difficoltà esperenziali o relazionali – sia con se stessi che col partner, Betty Martin consiglia di partire a riscoprire i desideri propri e altrui con contatti su piccole parti del corpo non caratterizzate sessualmente e stando ben concentrati sulle sensazioni che si percepiscono.

I quattro quadrati rappresentano i diversi aspetti della nostra vita relazionale collegati tra loro nelle dinamiche dare-ricevere e prendere-permettere.

Ovviamente possono esistere anche dinamiche differenti o dai confini più sfumati. Come abbiamo già visto a volte può essere difficile definire chi sia il reale destinatario, la persona per cui viene fatta un’azione. Oppure possiamo muoverci fluidamente tra un quadrante e l’altro. L’importante è che le nostre intenzioni siano chiare a noi e al nostro partner – ovvero che l’accordo tra i partner sia chiaro – altrimenti potrebbero insorgere fraintendimenti che renderebbero meno appagante l’esperienza.

Non esiste un quadrante migliore di un altro. È ovvio che avremo dei quadranti in cui preferiamo stare, ma solo chi riesce ad apprezzare tutte le possibilità di dare, ricevere, fare e permettere può avere una vita relazionale piena e sincera. Se non riusciamo a riconoscere il valore di tutte queste azioni non vuol dire che abbiamo un quadrante preferito, ma che ne stiamo evitando alcuni. Darsi il permesso di vivere tutte le possibilità non è semplice, ma sicuramente contribuisce a rendere migliore la vita propria e quella altrui.

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TUTTI I RUOLI SONO ALL’INTERNO DEL CONSENSO

Come vediamo questi “ruoli” sono tutti all’interno del consenso, il cerchio con cui abbiamo aperto questo articolo.

A questo punto è chiaro che il consenso è un concetto molto ampio che non si limita solo al dare il permesso di fare qualcosa.

Il consenso diventa un accordo tra due (o più) persone che riguarda

  • che cosa desideriamo,
  • che cosa siamo disposti a fare e che cosa no,
  • chi fa l’azione e
  • per chi viene fatta l’azione.

Questo concetto di consenso è dunque dinamico e relazionale e richiede delle competenze quali ad esempio:

  • riuscire a capire e a esprimere chiaramente quello che vogliamo, quello di cui abbiamo bisogno,
  • essere consci di avere la responsabilità di gestire i nostri limiti,
  • riuscire a discutere un accordo chiaro e condiviso,
  • agire in modo sincero,
  • essere capaci di vivere le possibilità che ci offrono i diversi quadranti.

Un’autentica e intima conoscenza di noi stessi e una buona gestione delle dinamiche relazionali non ci possono mettere al sicuro da esperienze negative ma possono farci acquisire una maggiore consapevolezza di come ci muoviamo all’interno del cerchio del consenso.

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LE DINAMICHE

Approfondiamo adesso le due dinamiche che si creano nella ruota del consenso.

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LA DINAMICA DARE – RICEVERE

La dinamica dare-ricevere è quella a cui pensa di primo acchito la maggior parte delle persone. In essa l’azione e il dono vanno nella stessa direzione: chi fa l’azione è anche chi dona qualcosa al partner per il suo piacere.

Vediamo un esempio di questa dinamica.

Chi vuole dare domanda al partner “che cosa potrei fare che ti farebbe piacere ricevere?” oppure “come vorresti essere toccato?”. La risposta del partner sarà “mi piacerebbe che tu mi facessi…”. Altrimenti la richiesta può partire anche da chi riceve che chiede al partner “mi faresti…?” e la risposta potrà essere “sì / no”. Ad essere chiesti possono essere un massaggio, una carezza, l’essere toccati in una certa parte del corpo, ma anche un favore, del tempo o dell’attenzione.

Chi fa l’azione deve poi valutare se è disposto a fare quello che gli è stato chiesto, ovvero è responsabile di porre un limite.

Se le intenzioni dei due partner non dovessero collimare, si può decidere che non è possibile trovare una soluzione intermedia oppure negoziare una possibilità che soddisfi comunque entrambi. In questo caso è può essere utile che le persone coinvolte lascino aperta la discussione proponendo modalità diverse (“non mi sento di realizzare l’azione che mi hai chiesto in questo modo ma potrebbe andare bene in quest’altro?”) oppure mostrandosi comunque disponibili ad altre proposte (“Non mi sento di fare questa cosa. C’è altro che comunque ti piacerebbe?”).

Se chi dà accetta, il suo compito è di mettere da parte i propri desideri e di focalizzarsi su quelli del partner, realizzando quello che gli è stato chiesto di fare. Ad esempio se un partner ha chiesto di ricevere un massaggio ai piedi, l’altro partner, se è disposto a farlo, lo eseguirà concentrandosi sui bisogni dell’altro, che magari è stanco dopo una giornata passata al lavoro. Svilupperemo questo esempio nei prossimi paragrafi.

Come abbiamo già visto, non è semplice né dare né ricevere.

A volte ci viene spontaneo chiedere “Ti andrebbe se ti facessi…?”, mascherando però la volontà di voler fare qualcosa che siamo noi a desiderare invece di offrire un dono fatto interessandoci esclusivamente delle esigenze del destinatario. Tornando al nostro esempio, una persona potrebbe chiedere al partner “Ti va se ti faccio un massaggio ai piedi?” perché la trova un’azione piacevole per se stesso perché magari trova eccitante massaggiare i piedi del partner, non perché interessato al benessere dell’altro. In questo caso chi fa il massaggio non sta dando, ma ricevendo piacere.

Può anche accadere che chi dà inizi facendo quello che gli è stato domandato ma poi espanda autonomamente l’area delle possibilità di azione e faccia cose che non erano state richieste, magari con la buona intenzione di fare meglio. Per esempio un partner potrebbe iniziare massaggiando i piedi come era stato chiesto, ma poi passare alle gambe, che però l’altra persona non ha bisogno che siano massaggiate perché ha dolore solo ai piedi.

Poi c’è chi pensa che il proprio piacere risieda solo nel fare del bene agli altri. Dare piacere è bellissimo, ma bisogna anche saper ricevere e prendere. Se siamo abituati solo a dare, cioè a fare sentire sensazioni a un’altra persona, rischiamo di perdere la capacità di sentire attraverso il nostro corpo e di abituarci a una sorta di “piacere vicario” in cui riusciamo a percepire le sensazioni solo attraverso le reazioni del partner e non attraverso il nostro tocco, i nostri sensi. Vedere il partner appagato è bellissimo ma non può essere solo questa l’esperienza del piacere.

Anche quando siamo nel quadrante del ricevere a volte può essere difficile riuscire a connetterci con la nostra intimità e sentire quello che farebbe piacere ricevere, tanto che a volte se ci viene chiesto “come vuoi essere toccato?” c’è chi non sa che cosa chiedere e risponde elusivamente “come preferisci”.

Tutti noi infine possiamo incappare in una sorta di ansia da prestazione a causa della quale finiamo per pensare che dovremmo provare a tutti i costi una certa pratica, oppure che dovrebbe piacerci qualcosa che magari va di moda o che dovremmo cercare sempre di superare i nostri limiti.

Non possiamo forzare il piacere; possiamo solo seguirlo. Non possiamo decidere in anticipo che cosa ci piace o che cosa vorremo fare, ma dobbiamo essere in grado di ascoltare noi stessi e di sentire che cosa desideriamo sinceramente in un certo momento della nostra vita.

E dopo che abbiamo ricevuto quello che desideravamo, quando il nostro partner ci ha donato qualcosa a cuore aperto? L’unica cosa da dire è “grazie” e chi ha dato risponderà “prego”. Molto semplice.

Quante volte invece chi ha ricevuto può volersi scusare (“scusa ti ho fatto perdere un sacco di tempo!”) oppure chi ha dato vuole ringraziare a sua volta (“ma no, grazie a te!”)? Questo può creare confusione perché potrebbe mettere in dubbio il fatto che il dono non sia stato nella direzione in cui pensavamo. Se entrambi i partner hanno fatto quello che volevano fare e hanno rispettato il loro accordo, non c’è motivo di scusarsi se l’esperienza è stata piacevole, magari per entrambi.

Dare e ricevere sono le due facce di una stessa medaglia che dobbiamo essere capaci di alternare. Tutti noi abbiamo bisogno sia di offrire la nostra attenzione che di sentirci al centro dell’attenzione di qualcun altro, di contribuire al benessere altrui ma anche di pensare al nostro, di amare e di sentirci amati.

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LA DINAMICA PRENDERE – PERMETTERE

L’altra dinamica della ruota del consenso è quella prendere–permettere in cui la persona che riceve il beneficio dell’azione non è quella su cui viene fatta ma è chi la fa. Chi “permette” offre dunque se stesso per il piacere dell’altro.

In questa dinamica l’azione va da chi prende a chi permette, ma il dono è nella direzione opposta e consiste nel poter usufruire di un’altra persona per sperimentare piacere e benessere.

La domanda di chi prende è “posso farti…?” e la risposta è “sì / no”. La domanda può partire anche da chi permette che chiede “che cosa vorresti farmi?” o “come vorresti toccarmi?”.

Chi permette valuterà poi se è disposto a ricevere quella azione, ovvero manterrà la responsabilità di porre un limite su quello che è disposto a fare.

Un esempio di questa dinamica è il cosiddetto “tocco dell’amante” ovvero un’esplorazione del proprio desiderio grazie a un’altra persona che dona il suo corpo per questo. Per esempio uno dei partner potrebbe chiedere all’altro di potergli toccare una certa parte del corpo oppure di realizzare un’azione su di lui, come tirargli i capelli.

Come abbiamo visto è molto difficile saper “prendere” perché ci rende vulnerabili in quanto mostriamo i nostri desideri più intimi.

Siamo così abituati a pensare che la persona su cui viene fatta un’azione è anche quella per cui questa azione viene fatta che a volte anche quando siamo nel quadrante del “prendere” finiamo per dimenticarci che i destinatari dell’azione siamo noi e iniziamo ad agire per fare sperimentare comunque delle sensazioni e del piacere al partner. Abbiamo già parlato dei rischi di questo “piacere vicario”: dare piacere è molto appagante ma dobbiamo essere anche in grado di restare concentrati su noi stessi per poter apprezzare pienamente le sensazioni che percepiamo.

Inoltre è difficile a volte connettersi con la nostra parte più intima per capire quello che ci piace veramente. Così come può non essere semplice rispondere alla domanda “che cosa vorresti che ti facessi?” quando siamo nel quadrante del “ricevere”, può essere altrettanto difficile per chi prende domandarsi “che cosa vorrei fare io al mio partner?”.

Potremmo infatti finire per chiedere qualcosa che pensiamo che possa piacere anche al partner oppure potremmo vergognarci di chiedere qualcosa per paura di essere mal giudicati o ancora potremmo voler sperimentare qualcosa solo perché per esempio ne parlano i media.

Se rileggiamo queste tre “difficoltà” prendendo come esempio l’idea di voler sperimentare qualche pratica “kinky” potremmo trovarci rispettivamente in tre situazioni: non fare quello che ci piacerebbe provare ma proporre qualcosa che pensiamo che piaccia al partner, vergognarci di chiederlo per paura di essere derisi o infine voler sperimentare non tanto perché siamo interessati ma perché magari sta avendo successo un film a tema.

La curiosità è un ottimo modo per divertirsi all’interno della coppia, ma è meglio se diventa un desiderio condiviso, senza trasferire le nostre aspettative su un’altra persona o peggio fare qualcosa che il partner non vuole.

Non si tratta solo di provare piacere, ma di apprezzare intimamente. Un contatto sessuale potrebbe essere piacevole, eccitante, ma non necessariamente potrebbe essere quello che davvero vogliamo. Non è semplice fermarsi a pensare, ascoltarsi e prendersi del tempo, ma è il modo migliore per godersi il qui e ora.

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PUSH OR PULL?

Abbiamo già rilevato il fatto che la società da una parte ci fa sentire in colpa se proviamo piacere, predicando la superiorità del dare rispetto al ricevere, ma dall’altra è edonistica, egoistica e ci spinge a prendere più che possiamo. Questi due aspetti sono ovviamente correlati: più non riusciamo a sperimentare il piacere e più cercheremo di godere abulicamente di quello che ci passa tra le mani.

Soprattutto nell’ambito della sessualità, a volte ci capita di scoprire nuove pratiche che non conoscevamo, di leggere un libro o di vedere un film in cui si parla di una certa tecnica, di accorgerci che la nostra fantasia è stimolata da una foto che abbiamo visto su internet. Potrebbe trattarsi di un sex toy, di pratiche erotiche, di giochi BDSM, di tantra, di tecniche di massaggio, ecc.

Come abbiamo visto, non sempre però è facile capire quanto una certa esperienza ci incuriosisca perché sentiamo davvero una spinta che ci spinge a provarla e quanto invece ne siamo attratti perché magari è qualcosa che va di moda oppure che molte persone fanno o ancora perché abbiamo paura che gli altri ci giudichino male se non la sperimentiamo anche noi.

Sono due modi diversi con cui avvicinarsi a qualcosa che non conosciamo ma che ci interessa: ascoltare quello che di una certa pratica ci attrae (approccio “pull”) oppure spingere per provarla a tutti i costi (approccio “push”).

Non esiste un modo migliore dell’altro; l’importante è non fare qualcosa per forza, perché vogliamo apparire sicuri, forti, alla moda.

In questi casi può essere utile riuscire ad ascoltare noi stessi e iniziare l’esplorazione partendo da quello che sentiamo che ci potrebbe piacere di una certa pratica e poi espandere un po’ alla volta lo spazio di consapevolezza che noi stessi ci siamo creati, altrimenti, nel momento in cui ci sforziamo e vogliamo fare qualcosa sotto pressione, il rischio è di restare in guardia mentre viviamo una certa esperienza e non riuscire a trarne un piacere realmente appagante.

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UN APPROFONDIMENTO DEI QUATTRO QUADRANTI

Abbiamo visto che riuscire a fare esperienza di tutti i quadranti e apprezzare le diverse possibilità di espressione contribuisce ad avere una vita emotiva e relazionale piena e appagante.

Ogni quadrante ci permette di sperimentare diverse sensazioni e comportamenti. Nei prossimi paragrafi approfondiremo alcuni di questi aspetti all’interno della ruota del consenso.

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DARE

Il quadrante del “dare” è quello in cui agiamo a beneficio di qualcun altro e sperimentiamo dunque il piacere di essere utili e la generosità, inoltre esercitiamo anche la gestione dei limiti di quello che siamo disposti a fare.

A volte chi si trova di fronte a una richiesta da parte di un’altra persona può pensare che “dare” significhi ubbidire a qualsiasi richiesta del partner. Ovviamente non è così ed è importantissimo essere coscienti che siamo noi a definire i limiti entro cui ci vogliamo muovere, entro i quali ci sentiamo felici di dare, di farlo a cuore aperto e non perché siamo costretti da doveri, consuetudini sociali, imposizioni, ecc. Più siamo sicuri di essere capaci di gestire i nostri limiti, più possiamo essere generosi e persino flessibili su quello che siamo disposti a fare perché non avremo paura di fare qualcosa che non vogliamo.

In questo senso all’interno della ruota del consenso è molto importante il tempo. Quando ci chiediamo quello che desideriamo o rispondiamo a una richiesta di un’altra persona è importante prenderci tempo per ascoltare noi stessi. È un momento che ci concediamo per connetterci alla nostra intimità e che ci consente di non rispondere di primo acchito ma di esprimere quali sono i nostri reali bisogni.

È bellissimo muoversi d’istinto e cavalcare la passione, ma a volte, soprattutto se abbiamo la sensazione di non sentirci pienamente appagati in una certa esperienza, può essere utile fermarsi a riflettere su che cosa significhi per noi quella esperienza e capire che cosa vorremmo veramente.

È dunque importante che in una relazione ognuno crei uno spazio e un tempo in cui il partner possa sentirsi libero di potersi esprimere senza pressioni, uno spazio sicuro che può essere anche condiviso e lasciato aperto per poter eventualmente rielaborare successivamente le risposte. In questo modo i limiti assumono confini meno netti ma allo stesso tempo più solidi sia perché sappiamo di poterci prendere questo tempo per decidere sia perché anche noi lo lasceremo al partner, contribuendo a generare un clima di fiducia reciproca.

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RICEVERE

Nel quadrante del “ricevere” accogliamo i benefici dell’azione di qualcuno e sperimentiamo il piacere di sentirci al centro delle attenzioni di un’altra persona e la sicurezza del rispettare e del vedere rispettati i nostri desideri; da parte nostra esprimiamo invece gratitudine al partner.

Per avere esperienza di queste sensazioni è importante riuscire a esprimere chiaramente quello che vogliamo in modo da permettere a chi è nel quadrante del “dare” di poter agire con tranquillità.

Eppure quando diciamo “vorrei che tu mi facessi…” o rispondiamo alla domanda “che cosa potrei fare che ti farebbe piacere ricevere?” spesso non ci fermiamo a riflettere bene su che cosa vorremmo veramente oppure ci sentiamo in colpa per approfittare della generosità di un’altra persona. Ecco che allora rispondiamo con frasi elusive come “potrebbe andare bene se tu mi facessi…” o “potresti fare questo o quello…” o peggio ancora “ma a te, che cosa piacerebbe farmi?”. In sostanza finiamo per chiedere qualcosa che pensiamo possa piacere anche all’altro.

Il quadrante del “ricevere” è quello in cui dobbiamo vivere invece l’esperienza di sperimentare qualcosa grazie a un’altra persona, di essere al centro dell’attenzione. Verrà il momento in cui saremo noi a “dare” ed è proprio la consapevolezza di essere capaci di non rimanere fissi in un solo quadrante che ci può aiutare a sviluppare bene la nostra esperienza e, in fondo, anche quella dell’altro.

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PRENDERE

Il quadrante del “prendere” è dove agiamo per il nostro beneficio e sperimentiamo una tra le sensazioni più importanti: l’integrità, ovvero l’onestà di affermare quello che vogliamo e la corrispondenza con la sua effettiva realizzazione.

“Prendere”  è una parola che può avere anche sfumature di significato negative che ci fanno venire in mente l’idea di portare via, rubare, approfittarsi, ecc.

Per questo motivo, quando siamo in questo quadrante, possiamo inconsciamente avere paura di poter essere percepiti o di sentirci noi stessi come degli approfittatori o degli abusatori.

Questo timore come abbiamo visto può essere una delle cause per cui iniziamo a mascherare il nostro desiderio con un gesto falsamente altruistico di “dare” per poi aspettarci qualcosa indietro. Ecco che allora ci travestiamo da amanti premurosi, da esperti di qualche tecnica che dà piacere, da persone generose, quando invece siamo solo in difficoltà nell’ascoltare e nell’esprimere i nostri desideri.

Diventa dunque fondamentale sviluppare un sentimento di fiducia verso di sé e verso gli altri.

Se non siamo sinceri noi per primi nel far sapere quello che desideriamo, potremmo pensare che anche la disponibilità del nostro partner non sia sincera; se non rispettiamo i limiti di quello che noi “vogliamo” fare, saremo anche sospettosi su quello che è “disposto a” fare il nostro partner.

In questo senso il rispetto dei nostri desideri è un esercizio di consenso rivolto verso noi stessi e che porta un giovamento anche a chi ci sta vicino.

Se sapremo esprimere con tranquillità quello che vogliamo, impareremo anche ad accettare la risposta del partner alle nostre richieste. Solo in questo caso realizzeremo un accordo sincero, a prescindere dal fatto che, in base ai limiti di entrambi, potremo o meno realizzare l’esperienza che volevamo provare.

A volte le esigenze sono incompatibili e, piuttosto che trovare una “via di mezzo” insoddisfacente, può essere utile accordarsi sul fatto che non è possibile giungere ad una soluzione che soddisfi entrambi.

Più siamo consapevoli del fatto che ci fidiamo di noi stessi e più potremo fidarci del nostro partner e viceversa. Questo ci permetterà persino di essere più elastici, di poter spostare o superare i nostri limiti. Al contrario mettere da parte i nostri desideri genererà inevitabilmente frustrazione, risentimento e senso di colpa.

Imparando a ricercare il piacere attraverso le nostre mani, impariamo inoltre a essere più sensibili alle risposte del nostro partner e a modulare quello che facciamo quando per esempio riceviamo dei feedback negativi. Se le nostre mani sono ricettive possono accorgersi se l’altra persona si è irrigidita o se ha un problema; questo ci rende capaci di poter lasciare spazio al partner per verificare se va tutto bene. Questo comportamento genererà ulteriore fiducia perché sia chi “prende” che chi “permette” saprà che i limiti sono continuamente tutelati e quindi entrambi possono lasciarsi andare con più tranquillità.

In questo senso cercare il nostro piacere serve a rendere più piacevole anche l’esperienza altrui. Imparando a prendere impariamo anche a dare.

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PERMETTERE

Il quadrante del “permettere” è quello in cui consentiamo agli altri di trarre beneficio da noi e il sentimento che proviamo è quello di abbandonarci, di metterci nelle mani di qualcun altro.

Nel “permettere” sperimentiamo anche il desiderio di sentirci desiderati e per questo alcune persone trovano estremamente piacevole stare in questo quadrante. Questo “ruolo” è tra l’altro tipico di un certo tipo di letteratura erotica in cui i protagonisti, generalmente di sesso femminile, non aspettano altro che l’arrivo di un partner affascinante a cui abbandonarsi senza indugi e che risollevi le sorti della loro esistenza e della loro vita sentimentale.

A parte questi romanzi d’appendice, “abbandonarsi” non è però così semplice come sembra.

La paura principale di chi si trova in questo quadrante è quella sentire di non avere possibilità di scelta su che cosa può essere fatto loro. Per questo motivo il quadrante del “permettere” è quello in cui maggiormente si sperimenta la necessità e la responsabilità di affermare i propri limiti.

Ricordiamoci anche che questi ultimi non sono qualcosa di monolitico, ma possono cambiare a seconda delle situazioni, dei momenti della nostra vita, dei partner, delle pratiche, ecc.

I limiti devono essere comunicati chiaramente, senza pensare che sia solo compito dell’altro chiederli oppure che non vadano proprio detti e che debbano essere capiti dal partner, come se potesse leggerci nel pensiero. Scoprire i desideri e i limiti un po’ alla volta insieme al partner è interessantissimo, ma questo non ci esime dall’essere il più possibile consapevoli se tali limiti vengono violati. Inoltre una coppia che si conosce molto bene e che avrà costruito col tempo una solida fiducia reciproca potrà giocare con più libertà ed essere più disposta a ridisegnare via via i limiti personali.

Torna dunque il tema della fiducia, soprattutto in noi stessi, in quanto responsabili dei nostri limiti.

Quando però smettiamo di domandarci se una certa azione rientra in quello che siamo disposti a ricevere, il rischio è di finire col non avere più il controllo di quello che il nostro partner può fare oppure di erigere un muro e di chiuderci completamente all’altro. A quel punto ogni azione altrui ci apparirà egoistica perché avremo smesso di pensare al nostro piacere.

In questo quadrante comprendiamo dunque quanta responsabilità abbiamo su quello che ci accade. Questo ovviamente non significa che siamo responsabili se viene deliberatamente violato il nostro consenso da un’altra persona.

Più siamo in grado di capire e comunicare i nostri limiti e più potremo avere un’esperienza appagante e generosa perché non dovremo stare continuamente in guardia riguardo al fatto che i limiti non vengano superati dal partner o da noi stessi.

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CHE COSA SUCCEDE SE NON C’È CONSENSO

Purtroppo non sempre le interazioni tra due (o più) persone avvengono all’interno del consenso. Non sto parlando di abusi gravi e deliberati, ma anche solo di semplici fraintendimenti, che però possono avere conseguenze altrettanto spiacevoli.

Pensiamo a un tipico equivoco che può avvenire all’interno di una relazione e letto secondo il cerchio del consenso:

  • Giulio vorrebbe graffiare con le unghie la schiena di Paolo (dunque vorrebbe “prendere”), un’esperienza che troverebbe estremamente gratificante, ma ha paura a esporsi e maschera questo desiderio proponendo a Paolo di fargli un massaggio per rilassarlo. Giulio ritiene di fare qualcosa per il benessere del suo partner e quindi crede di realizzare una dinamica “dare-ricevere”.
  • Paolo non ha chiesto di essere massaggiato quindi pensa che Giulio voglia massaggiarlo per il proprio piacere. Decide di accondiscendere e pensa che si tratti di una dinamica “prendere-permettere” e quindi si mette a disposizione dell’altro.
  • Probabilmente l’esperienza sarà abbastanza piacevole per entrambi, ma né Giulio ha avuto quello che avrebbe voluto fare né Paolo ha tratto benefici perché non era interessato a ricevere un massaggio.
  • Entrambi pensavano di essere nella metà di “chi dà”, quindi tutta la dinamica era sbagliata!

Questo esempio ci ribadisce la difficoltà di stare nella metà di “chi riceve”, ovvero nei quadranti del “prendere” e del “ricevere”. Può non essere infatti semplice sentire ed esprimere quello di cui abbiamo bisogno e che cosa desideriamo per noi stessi perché significa mettere a nudo i nostri desideri, le nostre necessità. In fondo significa che, pur nel rispetto della nostra autonomia, dobbiamo accettare che abbiamo bisogno di relazionarci e aprirci con gli altri. È per questi motivi che molte persone passano la maggior parte della loro vita nella metà di “chi dà”, ovvero nei quadranti del “dare” e del “permettere”.

La scelta del quadrante non è determinata dalle intenzioni che presupponiamo di avere o dal fatto che proviamo piacere. Più chiaramente capiremo il quadrante in cui siamo e la dinamica che mettiamo in atto e probabilmente più l’esperienza sarà soddisfacente oltre che piacevole.

Questa consapevolezza aiuta anche nella definizione del consenso, che, come abbiamo visto, si esprime tramite un accordo che riguarda diversi aspetti.

Purtroppo però può accadere che quello che facciamo esca dalla ruota del consenso, dai limiti propri o altrui. Ogni quadrante può infatti dare adito a dei comportamenti disfunzionali che costituiscono una sorta di “ombra” dei vari quadranti. Vediamo alcune di queste figure iconiche nei confronti delle quali dobbiamo stare in guardia, soprattutto quando certe dinamiche vengono reiterate creando relazioni problematiche.

Abbiamo visto che alcune persone sono abituate a stare solo nel quadrante del “dare” perché non sono più consapevoli dei propri limiti e hanno dimenticato di dare ascolto ai propri bisogni. Questo può accadere per una sorta di senso di colpa verso il “prendere”; il rischio in questo caso sarà di diventare dei “pietisti” (persone che fanno sempre il bene degli altri), ovvero finire per dare e basta, anche a prescindere che l’altro non sia interessato a ricevere. Oppure possiamo essere spinti a uscire dal consenso se è il partner a non “dare” mai; allora potremo diventare dei “martiri”, sacrificando i nostri limiti e desideri pur di mantenere un rapporto interpersonale. Questi atteggiamenti possono far sviluppare risentimento nei confronti degli altri e senso di colpa verso se stessi.

Dall’altra parte, la zona d’ombra di chi riceve, è l’essere pigri, se non facciamo mai nulla per gli altri, o pretenziosi, se pensiamo che tutto ci sia dovuto anche se l’altro non è disposto a darcelo. Questa è una sorta di controparte disfunzionale del quadrante del “dare”: chi riceve approfitta sempre dei benefici dell’azione di qualcun altro senza mai offrire nulla. È un atteggiamento diffuso non solo in molte relazioni ma anche nella società in generale.

Fuori dal consenso del “prendere” troviamo poi gli approfittatori, i molestatori e i violentatori. Il rischio di finire fuori dal consenso in questo quadrante è uno dei principali timori che impedisce a molte persone di vivere serenamente la possibilità di “prendere”, ovvero di esplorare i propri desideri e il proprio piacere grazie ad un’altra persona.

Anche la paura – che può sperimentare chi “prende” – che il partner non sia capace di far valere i suoi limiti spesso è solo un modo per mascherare l’incapacità di esprimere chiaramente i propri bisogni. Approfondiremo più avanti  questa “zona grigia” della dinamica “prendere-permettere”.

La zona al di fuori del consenso di questo quadrante può poi arrivare fino all’abuso e alla violenza deliberata.

Infine troviamo chi va oltre il consenso nel “permettere”, ovvero i cosiddetti “zerbini”, gli “ipertolleranti” ovvero chi tollera sempre tutto, fino alle vittime di veri e propri abusi e violenze. Quando non siamo capaci o non possiamo gestire i nostri limiti è molto facile che si apra una breccia nel consenso che può portare a conseguenze molto spiacevoli e pericolose.

Ci sono poi delle zone grigie che sono al limite del consenso, difficili da riconoscere per chi ci sta dentro e tipiche della dinamica prendere-permettere.

Nella zona grigia del quadrante del “permettere” ci sono tutti quegli atteggiamenti in cui vorremmo dire di no ma non lo facciamo, in cui qualcosa non ci piace ma lo sopportiamo oppure in cui non diciamo nulla lasciando che l’altro intuisca quelle che secondo lui sono le nostre esigenze.

Nella parte al limite del quadrante del “prendere” troviamo invece chi prova a fare qualcosa ma si muove a tentoni perché non ha chiaro quello che vuole e finisce per fare qualcosa di sbagliato oppure chi ha chiaro quello che vuole ma agisce aspettando che sia l’altro a dire di fermarsi se c’è qualcosa che non va invece di accordarsi prima sui limiti.

Molte persone stanno per tutta la vita in questa zona d’ombra. Il problema ulteriore è che a volte chi è nella zona grigia del prendere incontra chi è nella zona grigia del permettere e allora si creano delle relazioni davvero molto complicate.

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TIRANDO LE SOMME

Giunti alla fine di questa esposizione dei concetti più importanti della ruota del consenso vorrei fare alcune considerazioni conclusive.

Il valore di questo sistema risiede a mio avviso nel rileggere il concetto di consenso come qualcosa di dinamico e relazionale e improntato a un senso di responsabilità e chiarezza verso se stessi e gli altri.

Inoltre ho trovato importante il fatto che nella ruota del consenso sia fondamentale tanto la consapevolezza e il rispetto dei limiti quanto l’espressione dei propri desideri.

Infine questo schema riesce a spiegare in modo originale alcune dinamiche disfunzionali che si possono creare nelle relazioni.

La ruota del consenso costituisce dunque uno strumento critico che stimola una riflessione profonda su noi stessi e su come gestiamo i rapporti con gli altri.

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E NEL BDSM?

La ruota del consenso, i suoi quadranti e le sue dinamiche possono essere facilmente adattabili a qualsiasi contesto relazionale ed esperienziale, alla sessualità e anche al BDSM.

In realtà l’idea della ruota del consenso nasce in seguito a un workshop tenuto durante una convention BDSM. Una quindicina di anni fa, durante un seminario chiamato “Power and surrender” fu fatto un gioco in cui a turno le persone domandavano al partner “che cosa vuoi che ti faccia?” oppure “che cosa vorresti farmi?”, poi negoziavano e realizzavano l’esperienza. Da quel seminario è partita la riflessione su cui alcuni anni dopo si è strutturata la ruota del consenso.

Trasferite in ambito BDSM, le dinamiche della ruota del consenso rimangono sostanzialmente le stesse, anche se, per la intensità delle esperienze, è necessaria molta più consapevolezza. In linea teorica dovremmo essere prima a nostro agio con interazioni più semplici e poi passare a quelle via via più complesse.

Non è necessario ridurre ogni tipo di rapporto o esperienza BDSM allo schema della ruota del consenso; nel BDSM i confini possono essere sfumati, si può switchare oppure addirittura giocare sul filo del consenso, ad esempio nel “consensual non consent”.

A volte in ambito BDSM può essere più difficile capire chi è il destinatario di un’azione. Se c’è una persona che dice “voglio sculacciarti” e trova un partner che dice “voglio essere sculacciato”, entrambi proveranno piacere, ma come abbiamo visto il fatto di provare piacere non è indice del quadrante in cui siamo o della dinamica che mettiamo in atto. Se entrambi i partner provano piacere è meglio, ma è un qualcosa in più. La persona “per cui” viene fatta l’azione cambia a seconda del modo in cui l’azione viene fatta. Se la sculacciata è per chi sculaccia, sarà allora quest’ultimo a decidere come farla, mentre se è per chi viene sculacciato sarà chi la riceve a dire come la vuole, sempre rispettando ovviamente i limiti di tutte le persone coinvolte. Non si tratta di decidere a tavolino come di dovrà svolgere una sessione, ma far sì che tutti vedano i propri desideri e bisogni realizzati e abbiano dunque una sessione soddisfacente.

Come avviene al di fuori del BDSM, un rapporto può diventare problematico quando certe dinamiche non chiare sono inconsapevoli o peggio si cristallizzano e aprono le porte a comportamenti al di fuori del consenso.

Per questo motivo l’apporto della ruota del consenso è quello di proporre una riflessione critica sugli atteggiamenti che potrebbero creare delle esperienze o dei rapporti non funzionali, sull’espressione del proprio piacere e sull’ascolto delle esigenze e dei limiti altrui.

Possiamo quindi rileggere la ruota del consenso in ambito BDSM mettendo al posto di “chi fa” e di “a chi è fatto” i termini “top” e “bottom”, che non identificano necessariamente due persone in una relazione di dominazione o sottomissione. Sull’asse orizzontale avremo invece sempre “chi dà” e “chi riceve”.

I quadranti del “prendere” e del “permettere” diventeranno “top” e “bottom” – o “dominante” e “sottomesso” o “Padrone” e “schiavo” a seconda dei rapporti che intercorrono tra i partner.

Nei quadranti opposti avremo invece “service top” e “topping from the bottom”.

Attenzione che i termini “service top”, ovvero un top che si mette al servizio del bottom, che fa quello che il bottom chiede, e “topping from the bottom”, ovvero un bottom che chiede a un top di fargli qualcosa, non hanno un significato negativo come spesso vengono intesi. L’importante è che ci sia consapevolezza e un chiaro accordo tra chi gioca, ovvero con tutti i partner che stanno facendo quello che vogliono e che sono disposti a fare. Tutto avviene quindi all’interno del consenso. Il problema è quando per esempio c’è un top che pensa di “comandare” quando sta invece facendo quello che vuole il bottom oppure un bottom che finisce per decidere che cosa deve essere fatto e che cosa no; in questo caso probabilmente entrambi rimarranno delusi dall’esperienza.

Tra questi quattro “ruoli” ci saranno dunque le stesse dinamiche, gli stessi accordi, persino gli stessi problemi che abbiamo già visto e, come accade al di fuori del BDSM, il problema sorge quando non c’è consapevolezza e chiarezza.

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CONCLUSIONE

Spero che questa lunga esposizione sia stata interessante.

Non nascondo che, probabilmente per la mia formazione universitaria di tipo filosofico-sociologico, questo approccio linguistico-cognitivo mi è piaciuto molto.

E non nascondo nemmeno che mentre mettevo in ordine i miei appunti mi sono riconosciuto in tanti modi di fare non funzionali.

Spesso non ci accorgiamo di alcune nostre abitudini e tendiamo a non accettare spiegazioni che vanno contro a quelle che siamo abituati a darci, ma se riusciamo a cogliere questi spunti di riflessione potremo uscirne sicuramente arricchiti. Prendere coscienza non significa cambiare, ma è un primo passo.

Io continuerò a rifletterci su e spero che questo possa portare del bene a me e a chi mi sta vicino.

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